Il capitolo conclusivo della pubblicazione L’estate che resta. Dalla co-progettazione alla lettura partecipata del Progetto So.L.E” scritto dalle curatrici della pubblicazione Donatella Turri (Fondazione per la Coesione Sociale) e Irene Psaroudakis (Università di Pisa). La pubblicazione integrale è scaricabile qua.
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La genesi del Progetto So.L.E., ampiamente descritta nella prima parte di questo report, rappresenta una delle prime occasioni di co-progettazione sul territorio della Piana di Lucca, che coinvolge parimenti gli attori del Terzo Settore che operano a livello locale, le istituzioni pubbliche (nello specifico, l’azienda USL Toscana Nord Ovest), e il privato sociale (la Fondazione Coesione Sociale Onlus). Si tratta di un fattore non di secondaria importanza, che si inscrive – applicandone positivamente i dettami – nella traiettoria delle indicazioni fornite dal Codice del Terzo Settore: attuando quei principi di sussidiarietà, cooperazione ed efficienza promossi dal Legislatore attraverso percorsi di co-programmazione e co-progettazione che, rispettivamente, individuino i bisogni locali della cittadinanza (“la co-programmazione è finalizzata all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili”) e quindi realizzino percorsi di intervento per la risposta/copertura di tali claims (“la co-progettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione”). Il riferimento specifico è agli Artt. 55, 56 e 57 del Codice: nel coinvolgimento degli Enti di Terzo Settore nel quadro della programmazione sociale di zona, nella sottoscrizione di convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale, nell’affidamento dei servizi di trasporto sociale alle realtà del volontariato. Si comprende, pertanto, come il Progetto So.L.E. stesso vada a inserirsi in una cornice di presa in carico collettiva di tutti quei territori che rientrano nell’area territoriale sopra definita, ideando e implementando processi di community building e di empowerment delle comunità locali. Inoltre, la collaborazione con enti di ricerca esterni – come dimostrato in occasione di questa esperienza – può costituire un elemento di valorizzazione dell’esperienza stessa, proprio nell’ottica prima dell’identificazione delle domande sociali pertinenti una data comunità territoriale, anche in corrispondenza di una mappatura dei servizi e delle linee di intervento già in essere localmente, e quindi del monitoraggio/valutazione di quanto realizzato, in modo da poter adeguare i risultati raggiunti in fase di rilevazione in chiave di policies e strumenti di progettazione.
Entrando nel vivo dell’esperienza, se per le conclusioni di carattere più generale ci pare opportuno rimandare alle parti finali dei capitoli dedicati alle fasi di ricerca quantitativa e qualitativa – che, come ben esplicitato, approfondiscono la varietà di aspetti con cui il Progetto può essere letto e valutato sia dal punto di vista degli studenti destinatari e delle loro famiglie, sia dei nodi locali che hanno contribuito alla sua realizzazione – è invece possibile introdurre alcune chiavi di lettura che, traendo spunto da quanto emerso grazie all’indagine svolta al termine delle attività previste da So.L.E., possono aprire la riflessione a uno sguardo più ampio e introdurre prospettive future. Uno degli obiettivi della ricerca risultava essere, infatti, l’emersione dei punti di forza e criticità del Progetto da considerare con attenzione al fine di evincere una potenziale replicabilità dell’iniziativa nelle annualità successive. A seguito di quanto evidenziato dall’analisi dei dati quantitativi raccolti, e del materiale co-costruito nelle interviste in profondità e nel focus group, è possibile enucleare alcune aree tematiche di sintesi (dimensioni) tra loro interconnesse, e in grado di restituire la multidimensionalità del Progetto.
1. La dimensione operativa. Questo punto ha a che vedere con il valore rivestito dal Progetto So.L.E. in sé, in particolare rispetto all’attivazione di pratiche di socializzazione e integrazione delle persone destinatarie delle azioni, e inerisce sia la questione organizzativo-gestionale sia una possibilità di interpretazione di quanto realizzato come esito di un percorso di co-progettazione, da leggere in maniera longitudinale rispetto alle esperienze pregresse offerte dai servizi sociali territoriali nel medesimo ambito di intervento.
Una proposta operativa per il futuro può indicare nel processo della co-progettazione e nel coinvolgimento ampio ed eterogeneo di soggetti diversi all’interno delle comunità il modus operandi per costituire percorsi di inclusione e di integrazione degli studenti con disabilità. L’esperienza può supportare nel rafforzare i legami della comunità educante come risposta alla richiesta di socializzazione e di occasioni di educazione non formale per gli studenti con disabilità e, al contempo, lavorare alla costruzione di legame sociale e di community building.
Considerando la complessità del processo, un’indicazione per il futuro guarda alla necessità di inserire in modo sempre più deciso e dettagliato tali percorsi nella fase programmatoria della Zona Distretto, anche valorizzando la collaborazione con i Servizi Sociali territoriali dei Comuni coinvolti.
Tale azione consentirebbe di poter avviare il percorso di co-progettazione in tempi congrui e poter curare le singoli parti del processo in maniera più distesa, migliorando in modo sistematico il funzionamento operativo della proposta.
2. La dimensione comunicativa. Questa dimensione ritorna con forza nelle valutazioni delle famiglie coinvolte nel Progetto ed ha rappresentato una delle dimensioni più critiche dell’intero processo. Strettamente connessa alle tempistiche contratte, l’azione comunicativa relativa all’organizzazione delle azioni progettuali è stata percepita spesso come debole da parte dei destinatari del progetto e, in alcuni casi, ha condizionato in modo significativo la scelta stessa di aderire e le modalità con cui farlo. Elementi problematici sono stati individuati anche dai partner della co-progettazione che hanno, in alcuni casi, fatto molta fatica a seguire in modo adeguato quanto il percorso di co-progettazione richiedeva.
Una proposta operativa per il futuro vede nella anticipazione delle fasi organizzative del progetto la prima delle dimensioni da curare.
Si raccomanda anche di curare l’azione di pubblicizzazione e di contatto con le famiglie, predisponendo strumenti comunicativi diversi e di facile lettura, in grado di rappresentare una sorta di “catalogo” delle proposte offerte e di consentire alle famiglie una scelta ponderata tra le molte alternative.
E’ fondamentale anche curare la presentazione delle diverse Linee di supporto previste (A, B, C), ascoltando – in fase preliminare – le eventuali richieste delle famiglie e trovando soluzioni operative in grado di mediare tra i bisogni espressi e le concrete possibilità di azione, inevitabilmente limitate, dell’intervento.
Potrebbe essere particolarmente utile immaginare iniziative di presentazione delle realtà coinvolte nella co-progettazione, quali – ad esempio – “open day” in cui le famiglie possano visitare le strutture, conoscere le equipe di operatori e prendere i primi contatti con le associazioni.
3. La dimensione relazionale. Ci riferiamo nello specifico al modo in cui il Progetto ha inciso nella relazionalità tra enti del territorio e le famiglie dei destinatari degli interventi, e quindi alla questione della partecipazione attiva delle famiglie ai processi di implementazione della presa in carico. Ciò, nei duplici termini di miglioramento dei processi partecipativi e di allargamento degli attori coinvolti/da coinvolgere nella progettazione di linee di intervento in un’area tanto delicata quanto vasta come quella della disabilità dei minori.
Una proposta operativa per il futuro può guardare alla cura di un sempre maggiore e più continuativo apporto delle famiglie soprattutto nella fase programmatoria.
La possibilità di prevedere momenti di ascolto delle esigenze e di preliminare valutazione di eventuali punti critici o timori connessi all’esperienza può rappresentare un elemento di facilitazione nella gestione successiva delle relazioni.
E’ necessario ricordare quanto sia complesso organizzare un servizio in grado di rispondere in modo adeguato alle molteplici situazioni individuali che descrivono il target di riferimento e quanto sia sfidante la scommessa di farlo con una metodologia che guardi alla “comunità” come agente.
In questo senso, può essere prezioso individuare forme di valorizzazione dell’apporto di lettura e indicazione che può essere fornito strutturalmente dai Tavoli della Disabilità e dagli altri organismi di consultazione territoriale che vedono confrontarsi in maniera continuativa gli stakeholders.
Un dispositivo di facilitazione nei rapporti tra i portatori di interesse e i soggetti deputati ad organizzare l’assistenza sul territorio, potrebbe essere quello di fornire gli strumenti di lettura delle possibilità e dei limiti di azione di questi ultimi. In questo modo, il confronto, ancorché acceso, potrebbe rimanere sul piano della costruzione di alternative possibili nel quadro dell’attuale normativa circa l’assistenza.
Lo strumento della co-progettazione e l’ampio partenariato creatosi potrà inoltre rappresentare la base per costruire un rapporto pubblico – privato anche per tutti i bambini, in un necessario percorso esperienziale di incontro con la disabilità e di dinamiche di vita comunitaria.
4. La dimensione della continuità. Rispetto a questo elemento, l’accento è ancora una volta molteplice: si tratta di concepire gli interventi – recependo prima la domanda in sede di programmazione, e adeguandovi dunque la progettazione – in linea con i percorsi avviati durante l’anno nell’ambito scolastico, e come presupposto per la ripresa delle attività scolastiche in autunno. Delineare patterns di intervento di concerto con le istituzioni scolastiche permetterebbe di agire per il rafforzamento delle competenze, e quindi per l’autonomia dei minori, anche rispetto all’acquisizione e all’allargamento di skills trasversali.
Allo stesso tempo, il requisito di continuità è correlato al rapporto tra studenti con disabilità ed educatori/operatori: nonostante il Progetto sia orientato di per sé a coprire nel modo più vasto possibile le varie tipologie di disabilità, l’individualità dei singoli destinatari esprime una serie di bisogni specifici che richiedono una risposta altrettanto personale, spesso garantita solo dalla presenza di una consuetudine e di una conoscenza pregressa con i professionisti (e non solo con l’ente di riferimento).
Una proposta operativa per il futuro può andare nella direzione di rafforzare le connessioni con le equipe scolastiche in fase di scrittura del P.A.P nelle indicazioni concernenti il tempo estivo.
Nei limiti del possibile, potrà inoltre essere curata l’attenzione da parte dei soggetti co-partecipanti a garantire continuità nell’impiego di figure di sostegno ai destinatari. Un’ulteriore proposta, che tiene presenti gli inevitabili limiti organizzativi riguardo a questo tema, vede nell’identificazione di una figura di riferimento per le famiglie in ogni associazione una possibile soluzione alla richiesta di garanzie nella continuità, per il continuo aggiornamento in merito all’esperienza e al suo andamento e per la raccolta di eventuali segnalazioni, bisogni, necessità di ridefinizione dell’attività in itinere, da condividere poi con i team di accompagnamento coinvolti.
5. La dimensione del networking territoriale. Anche rispetto a questa dimensione, l’output del Progetto presenta più chiavi di lettura. L’esperienza descrive un tentativo – riuscito nei suoi aspetti complessivi, ma ovviamente passibile di miglioramento rispetto a quanto emerso dalla ricerca – di creare e sviluppare anche in chiave futura una rete comunitaria fondata sulla presa in carico di soggetti portatori di determinate fragilità e delle loro famiglie, che chiama in causa la necessaria sinergia e l’esigenza di una concreta cooperazione tra i nodi del territorio (istituzionali e del Terzo Settore). Di conseguenza, lo sviluppo di pratiche di networking, oltre a rafforzare nella cittadinanza il senso di appartenenza alla propria comunità di riferimento, finisce per avere effetti positivi in termini di empowerment territoriale, e quindi di scambio di risorse materiali e immateriali (supporto sociale, conoscenza, informazioni) a cui la collettività tutta può accedere.
Una proposta operativa per il futuro può guardare all’opportunità di individuare forme di coinvolgimento della rete di soggetti partners anche nel periodo scolastico e di coltivare la potenzialità del network, considerando anche le famiglie elemento attivo e potenziale di esso, in un’ottica di solidarietà diffusa e supporto orizzontale di bassa soglia.
L’esperienza può diventare un utile laboratorio per utilizzare gli stessi strumenti individuati per quest’iniziativa anche per la più complessiva strutturazione di momenti di incontro e di socializzazione estesi a tutti gli studenti.